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STEP #18

Filosofia contemporanea della matematica:

Teorie della mente incorporata



Queste teorie sostengono che il pensiero matematico sarebbe un prodotto naturale dell'apparato cognitivo umano, che si trova nel nostro universo fisico. Per esempio, il concetto astratto di numero deriva dall'esperienza del contare oggetti discreti. Sostiene anche che la matematica non è universale e non possiede una sua esistenza in senso reale, al di fuori del cervello umano. Secondo questa prospettiva, gli umani costruiscono la matematica, non la scoprono.

L'universo fisico viene quindi visto come il fondamento ultimo della matematica; esso ha guidato l'evoluzione del cervello, e successivamente ha determinato quali questioni questo cervello considera degne di investigazione. Tuttavia, la mente umana non avanza pretese sulla "realtà" o sugli approcci alla realtà costruita mediante la matematica. Se un costrutto come l'identità di Eulero è "vero", è tale in quanto rappresentazione derivata dalla mente umana e dai suoi processi cognitivi, e non in quanto rappresentazione di qualcosa che la mente è in grado di "vedere".

Si spiega quindi facilmente l'efficacia della matematica: questa disciplina è stata costruita dal cervello al fine di costituire uno strumento efficace in questo nostro universo.

La trattazione più accessibile, famosa e discussa di questa prospettiva è il volume 'Where Mathematics Comes From' (2000) di George Lakoff e Rafael E. Nùnez. Una disciplina che ha avuto un ruolo importante nell'ispirare questa prospettiva è la Scienza cognitia della matematica.






TEOREMI SULLA FILOSOFIA

L'etica kantiana e i suoi 4 teoremi


Il primo teorema:

«Tutti i principi pratici, che presuppongono un oggetto (materia) della facoltà di desiderare come motivo determinante della volontà, sono empirici e non possono fornire leggi pratiche.» (Kant, Immanuel, Critica della ragion pratica, Laterza, Bari, 1909, p.39-41)

Dimostrazione:

Kant intende per oggetto della facoltà di desiderare la rappresentazione dell'oggetto desiderato. Un principio che ha come fine la realizzazione di tale oggetto è un principio pratico empirico. Infatti Kant afferma che un principio di tal fatta avrebbe come scopo il piacere, in quanto piacevole è la soddisfazione del desiderio. Dal momento che non si può determinare a priori se con la realizzazione del desiderio corrisponderà un piacere, questo può avvenire solo per via empirica, quindi a posteriori. Potrà dunque esserci una massima come principio pratico empirico, ma non sarà una legge, proprio perché le leggi sono a priori.

Il secondo teorema:

«Tutti i principi pratici materiali, come tali, sono di una sola e medesima specie, e appartengono al principio universale dell'amor proprio, ossia della propria felicità.» (Kant, Immanuel, Critica della ragion pratica, Laterza, Bari, 1909, p.41)

Dimostrazione:

Qui per principio pratico materiale Kant intende sempre i principi pratici empirici, quindi quei principi pratici che mirano al soddisfacimento del desiderio, ossia al piacere. Cercare in ogni modo di conseguire il piacere consiste nell'essere umano nella ricerca della felicità. Fare della felicità il motivo determinante delle proprie azioni, afferma Kant, costituisce il principio dell'amor proprio. Siccome tutti i principi pratici materiali hanno la stessa caratteristica (perseguono tutti il piacere), allora sono tutti della medesima specie.

Il terzo teorema:

«Se un essere razionale deve concepire le sue massime come leggi pratiche universali, esso può concepire queste massime soltanto come principi tali che contengano il motivo determinante della volontà, non secondo la materia, ma semplicemente secondo la forma.» (Kant, Immanuel, Critica della ragion pratica, Laterza, Bari, 1909, p.55)

Dimostrazione:

Con materia di un principio pratico Kant intende l'oggetto a cui la volontà mira, quindi l'oggetto desiderato. Se il motivo determinante della volontà è un oggetto, perciò l'azione è condizionata patologicamente, allora il principio che la guida non è una legge. Se si astrae dalla materia della legge, ne rimane la pura forma. È la forma della massima che deve guidare l'uomo morale.

Il quarto teorema:

«L'autonomia della volontà è l'unico principio di tutte le leggi morali e dei doveri che loro corrispondono: invece ogni eteronomia del libero arbitrio, non solo non è la base di alcun obbligo, ma piuttosto è contraria al principio di questo e alla moralità della volontà.» (Kant, Immanuel, Critica della ragion pratica, Laterza, Bari, 1909, p.71)

Dimostrazione:

Kant definisce come unico principio di moralità la determinazione dell'agire dell'uomo mediante la sola forma della legge e non mediante la materia. L'indipendenza dell'uomo dall'oggetto o della materia è una libertà negativa, afferma Kant, ma la capacità dell'uomo di determinarsi tramite legge è una forma di libertà positiva. L'uomo è autonomo in quanto è capace di autodeterminarsi, ossia agire a partire dalla legge che è prescritta dalla sua stessa ragione.


Articolo: http://filosofia-orconerocapoguerra.blogspot.com/2017/12/letica-kantiana-e-i-suoi-quattro.html


FILOSOFIA DEI TEOREMI

Il significato filosofico del teorema Gödel

Gödel dimostra che un sistema logico coerente, che ha le capacità espressive dell’aritmetica elementare, contiene un enunciato per il quali, in quel sistema, non esiste né una dimostrazione della sua verità, né una dimostrazione della sua falsità. Questo teorema non fornisce una risposta definitiva al celebre problema della decisione formulato da Hilbert nel 1900, cioè se esista o meno una procedura meccanica in grado di stabilire per ogni enunciato matematico se sia dimostrabile che è vero o dimostrabile che è falso, anche se esso suggerisce fortemente che la risposta sia negativa. Sarà Alan Turing che in una celebre memoria del 1936 fornirà una ragionevole definizione del concetto intuitivo di “procedura meccanica” – ciò che può fare una macchina di Turing – e poi dimostrerà, sulla falsariga di Cantor e Gödel, che non esiste nessuna procedura meccanica in grado di stabilire se una procedura meccanica si fermi o meno, cioè se essa arrivi o meno a una conclusione. Dunque non esiste una procedura meccanica che sia in grado di determinare se una procedura meccanica sia o meno una dimostrazione. Ne segue che la risposta al problema di Hilbert è senz’altro negativa. Il teorema di Gödel costruisce effettivamente un enunciato che non può essere dimostrato né può essere dimostrata la sua negazione. Tale enunciato, può essere interpretato come l’affermazione che esso non è dimostrabile. Per cui in un certo senso è semanticamente vero. Alcuni, come Lucas e Penrose hanno allora sostenuto che l’uomo è in grado di vedere la verità di enunciati, che algoritmicamente non sono dimostrabili, per cui, secondo Lucas l’uomo non è una macchina e secondo Penrose l’uomo non è una macchina di Turing. Tali argomenti sono concettualmente sbagliati, per diversi motivi, fra i quali il più importante è che se qualcuno si rende conto che un enunciato è semanticamente vero è perché sta computando in un metalinguaggio rispetto a quello in cui l’enunciato non è dimostrabile, e questa computazione può essere realizzata da una macchina di Turing.Tuttavia Gödel stesso in una conferenza tenuta nel 1951 e il grande logico Paul Benacerraf, in un saggio indipendente del 1967, hanno sottolineato che se noi abbiamo le capacità cognitive di una macchina di Turing, allora, dato il teorema di Turing, ci sono cose che riguardano le nostre capacità cognitive che non possiamo conoscere. Secondo Benacerraf, è’ un po’ come se non saremo mai in grado di obbedire in modo completo al celebre imperativo socratico del “conosci te stesso”.


Articolo:https://viverestphilosophari.wordpress.com/2006/12/03/il-significato-filosofico-del-teorema-di-goedel/#:~:text=Il%20teorema%20di%20G%C3%B6del%20costruisce,certo%20senso%20%C3%A8%20semanticamente%20vero.


STEP #12

Nel pensiero medievale e moderno:

I Mertoniani

Logici di Merton

Nella prima metà del XIV secolo la logica conobbe sviluppi di rilievo nelle elaborazioni dei maestri universitari di Parigi e di Oxford. Gli Oxford Calculators (o Mertoniani, dal nome dell’antico College oxoniense di cui molti di loro furono membri) furono un gruppo di pensatori del XIV secolo che adottarono uno spiccato approccio logico-matematico, applicandolo a problematiche di natura filosofica.


Logica e filosofia naturale

L’interesse per le dottrine logiche è strettamente collegato alla possibilità di applicazione nell’ambito della filosofia naturale. I mertoniani misero a punto un corpus di tematiche fisiche analizzate facendo ricorso a strumenti concettuali comuni. Venivano così costruiti sofismi che esaminavano la possibilità logica di proposizioni che descrivevano la realtà in modo contrastante rispetto ai principi della fisica dello Stagirita. Particolarmente interessanti risultano il 'De proportionibus velocitatum' di Thomas Bradwardine, che rappresentò un testo di riferimento per tutti gli altri autori.


La misurazione delle qualità

Nel corso del XIII secolo si era imposta l’idea aristotelica che qualità e quantità fossero categorie differenti, che quindi non ci fosse possibilità di ‘misurare’ in senso proprio l’aumento e il decremento delle qualità. Fu uno dei meriti dei mertoniani quello di concentrarsi sugli studi sulla variazione d'intensità delle qualità (intensio et remissio formarum), con la conseguenza che si cominciò a pensare che le variazioni di qualità di un corpo fossero il risultato dell’acquisizione o della perdita di identiche ‘parti’ della qualità medesima. L’applicazione di tale principio permise di ottenere risultati significativi in fisica, come dimostrano le leggi sul moto locale dei corpi, in particolare sulla velocità.


Le leggi sulla velocità

Gli sviluppi della teoria dell’ 'intensio et remissio formarum', la legge sulla velocità di Thomas Bradwardine, rappresentò un'importante conquista nella storia della scienza, e il ‘teorema della velocità media’ formulato da Heytesbury. Nello stabilire i rapporti tra velocità, forza e resistenza, Bradwardine si distaccò da Aristotele, che sosteneva un rapporto di proporzionalità semplice tra questi fattori. Egli sostenne infatti che la velocità cresce aritmeticamente in corrispondenza dell’accrescimento geometrico del rapporto fra forza e resistenza. Un’altra significativa scoperta da parte della scuola mertoniana fu quella del ‘teorema della velocità media’, esposto nelle 'Regulae solvendi sophismata' di Heytesbury (1335) e ripreso da DumbletonRiccardo Swineshead e in seguito da Nicola Oresme(1350), fino a Galileo.




Questa legge stabilisce che un corpo che accelera o decelera in modo uniforme percorre, in un intervallo di tempo dato, una distanza uguale a quella che avrebbe percorso se si fosse mosso, nello stesso intervallo di tempo con velocità pari a quella raggiunta nell’istante di mezzo.



Fonti: http://www3.unisi.it/ricerca/prog/fil-med-online/temi/htm/calculatores.htm



STEP #08



IL MENONE DI PLATONE e IL TEOREMA DI PITAGORA

Platone, nel Teeteto, espone che Socrate basava il suo insegnamento sull'arte "maieutica", cioè l’attività, fondata sul dialogo, di far emergere dalla mente del discepolo la Verità che già possiede dentro di sé, con opportune interrogazioni dirette, semplici e chiare. Così che è il discente a scoprire da sé la verità sviluppando l'intuizione («da me non hanno imparato mai nulla, ma da loro stessi scoprono e generano molte cose belle»); nel processo si partiva dal particolare per arrivare all'universale, poiché nell'universale si trova la Verità.



Nel Menone Platone mostra come Socrate applichi l’arte maieutica come strumento fondamentale anche per “portare alla luce” dalla mente degli interlocutori le conoscenze matematiche, come nel celebre dialogo in cui aiuta uno schiavo di Menone a scoprire che il lato del quadrato di area doppia di quella di uno assegnato è una diagonale di questo. Socrate chiede allo schiavo se sa com’è fatta un’area quadrata, cioè che possiede tutti lati uguali e le diagonali anch’esse uguali. Alla risposta affermativa dello schiavo domanda quanto vale l’area di un quadrato di lato due piedi. Lo schiavo risponde correttamente: due piedi per due piedi, cioè quattro. Socrate riprende il dialogo, sollecitando l’interlocutore a rispondere al quesito: di quanti piedi è il lato del quadrato di area doppia? Lo schiavo risponde subito: di quattro piedi. A questo punto Socrate lo invita a riflettere: «quando il lato era di due piedi tu hai fatto correttamente due piedi per due piedi, allora se il lato del nuovo quadrato è quattro piedi, quanto sarebbe la sua area?» Lo schiavo risponde: di sedici. Dopo qualche altra riflessione il filosofo ateniese chiede allo schiavo se sa in che figure una diagonale divide un quadrato, ed egli risponde giustamente, in due triangoli uguali (prima figura). A questo punto Socrate gli suggerisce di costruire altri tre quadrati uguali a quello dato in modo da formare un nuovo quadrato (seconda figura a destra). Gli domanda se ora sa dire quale dev’essere il lato del quadrato che possiede area doppia di quello di due piedi di lato. Lo schiavo, tenendo conto della considerazione precedente, dà la risposta corretta: il lato del quadrato di area doppia è una sua diagonale.

PER IL DIALOGO COMPLETO:

STEP #25

DIALOGO In rifermento alla serie tv dello  step #22 ... Ore 03:14 del mattino di una mite primavera alle porte: Marcus e Josh sono ormai u...